Tracce di eretici Catari alla corte di Federico III RE di Sicilia

2018-03-12T09:08:54+00:00 12/03/2018|extra|0 Comments
I Catari si identificavano coll’epiteto “buoni uomini”, “bons homes” in catalano, uomini e donne dalla rigida morale che rifiutavano le ricchezze terrene e si opponevano alla chiesa cattolica e al sistema feudale. Essi arrivarono in Catalogna nel XII-XIV secolo dall’Occitania (Languedoc), dove furono vittime di una Crociata contro di loro e perseguitati dall’Inquisizione. Qui furono comunque ben accolti dai signori e dai nobili catalani. Oggi in Catalogna un percorso turistico collega il Santuario de Queralt, vicino Berga, al leggendario Castell de Montsegur nella regione francese di Ariège, attraverso il Parc Natural del Cadí-Moixeró, seguendo il cammino che portò i Catari in esilio. Il percorso passa attraverso posti come Bagà, Gósol e Bellver de Cerdanya.
Le Chiese romaniche del tour mostrano portali assolutamente uguali ai due singolari portali romanici insistenti a Montalbano. Ovvero al portale della Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria e a quello della Chiesa dello Spirito Santo. Una singolare presenza nell’architettura siciiana dell’epoca: unici portali a sesto non acuto, ma a tutto sesto.
Così il portale della Chiesa di Santa Julià in Pedra, così come anche la sua conformazione uguale a quella della Chiesa dello Spirito Santo, il portale della Chiesa di Sant Quirze de Pedret, quello di San Joan e la capella de la Pietat a Berga, etc.. sono portali gemelli di quelli di Montalbano. Quest’ultimi sembrano, comunque, elementi estranei all’architettura isolana e fuori contesto storico.
Grazie alla dominante influenza culturale e artistica araba, duecento anni prima, i normanni adottarono quale segno stilistico prevalente l’arco acut1.
L’arco divenne ancora più acuto, nel senso del gotico europeo, grazie agli architetti e alle maestranze cirstercensi e borgognone al soldo di Federico II di Svevia come di Manfredi.
I re aragonesi promossero, poi, un fortissimo investimento pubblico per la costruzione di chiese e castelli durante il loro periodo: oggi spesso queste opere vengono sbrigativamente assegnate a Federico II di Svevia perpetrando l’equivoco creato ad arte tra i due Federico.
Tanto con Giacomo II che con Federico III lo stile dei portali rimase sempre quello a sesto acuto, magari con decorazioni in stile normanno. Tale stile oggi viene chiamato “gotico-chiaramontano” in onore della casata nobiliare committente di molte costruzioni pubbliche del periodo e secondo noi, quale segno di un malcelato tentativo di sopprimere per sempre il nome del più grande Re di Sicilia dalla storia, sinanco da quella architettonica.
Nonostante gli stili architettonici dominanti2, le due chiese di Montalbano, costruite in contemporanea, hanno un unico diverso stile architettonico.
Hanno un portale assolutamente identico, salvo per la rosa scolpita nel portale di Santa Caterina. Tutt’e due le chiese non hanno la zona absidale: ciò fu dovuto alla scomunica elevata contro la Sicilia ove per decenni non fu consentito di somministrare sacramenti (come l’Eucaristia o l’Unzione degli Infermi)? Lo vedremo tra poco.
Tutt’e due, come le uguali chiese catalane della zona catara, avevano una piccola finestrella rettangolare sul portale. Questa è rimasta intatta nella Chiesa dello Spirito Santo, mentre è stata rimaneggiata e allargata nella Chiesa di S.Caterina con intervento, certamente, successivo all’epoca aragonese.
Nella chiesa dello Spirito Santo nella parte alta della stessa finestrella originale si trovano due rose perfettamente ritratte e distinguibili. Al centro la data 1310 ancora leggibile.
La Chiesa di S.Caterina, inoltre, conserva due merli ghibellini, di cui uno, quello centrale, manomesso con un’aggiunta, quello di sinistra, invece, ancora intatto. Gli stessi merli decoravano il castello e furono selvaggiamente rimossi con il consenso delle autorità preposte alla tutela culturale. Come dire, hanno sottratto a Federico III, autore del castello, il senso di un’intera esistenza di eroismi e guerre che gli costarono, a lui fervente francescano, una scomunica vita natural durante.
Abbiamo già visto che nel portale di S. Caterina si distingue, inoltre, una rosa simbolo dei Fedeli d’Amore, cui apparteneva tra gli altri Dante Alighieri3, e poi dei Rosacroce (e Rosacroce sarebbe stato lo stesso Arnau). Come detto, Santa Caterina d’Alessandria era la santa patrona degli alchimisti: e accanto alla chiesa ad Ella dedicata sarebbe stato sepolto il più famoso alchimista e medico europeo, Arnau de Vilanova. Due rose, abbiamo visto sopra, sono presenti anche nella Chiesa della Spirito Santo.
Sopra la rosa e la ghiera del portale della Chiesa di Santa Caterina ancora esiste un’iscrizione con cui viene dedicata la stessa chiesa a Santa Caterina d’Alessandria. Nella stessa iscrizione si fa riferimento anche alla contestuale realizzazione del campanile4. Il campanile a sua volta riporta la data del 1344.
Considerato che la data di realizzazione della Chiesa dello Spirito Santo è il 1310 e che la fattura stilistica del portale è perfettamente speculare a quella di Santa Caterina d’Alessandria, ne riviene che, secondo noi, Santa Caterina e Spirito Santo sono state disegnate dallo stesso architetto e prodotte dello stesso coevo cantiere.
Santa Caterina fu, dunque, costruita nel 1310 e oggetto di rimaneggiamento nel 1344, ovvero un anno dopo la morte di Eleonora d’Angiò. Venne alterato il secondo merlo ghibellino centrale cui venne sovrapposta una croce. Venne rimosso il merlo di destra che lasciò spazio a due campanili, uno di essi riportante, come detto, la data del 1344. Infine, venne fatta la dedicazione, con la sopraccitata iscrizione, a Santa Caterina d’Alessandria, senza però citare Arnau da Vilanova.
Altro particolare non esistevano croci nelle originarie configurazioni architettoniche delle due chiesette. Quella nel merlo di centro della Chiesa di Santa Caterina, come sopraccennato, venne aggiunta rimaneggiando il merlo centrale solo nel 1344. Vedremo tra poco il perchè.
Erano cambiati i tempi rispetto al periodo della gioventù della da poco defunta Regina Eleonora d’Angiò e del suo marito Federico III. Il loro figlio Pietro II, già di suo impacciato, divenne prudentissimo al fine di evitare un ulteriore scomunica a vita già comminata a suo padre Federico dalla Chiesa di Roma.
Tempo prima alcune proposizioni di Arnau erano state condannate dal sinodo di Tarragona del 1316 e da lì a due anni i libri di Arnau sarebbero stati bruciati anche a Girona nel 1346. L’atmosfera sconsigliava di citare Arnau. Egli, già in odore di eresia per motivi teologici, aveva, nell’ultima parte della sua vita, inoltre, coltivato interessi alchemici che erano, nel frattempo, divenuti sospetti all’indomani della “consultazione sulla magia” fatta dal papa Giovanni XXII nel 1320.
Da qui l’esigenza della tutrice di Ludovico I, figlio di re Pietro II scomparso nel 1342 e andato al trono all’età di sette anni, Elisabetta di Carinzia, di adeguare la chiesa dell’eretico Arnau alle nuove esigenze della riconciliazione con la Chiesa di Roma. Tutto questo senza ferire i sentimenti di Eleonora verso Arnau: la ridedicazione e i rimaneggiamenti sono stati, infatti, realizzati un anno dopo la morte della Regina Eleonora. E non è, secondo noi, un caso.
Elisabetta non fece citare Arnau dedicando, comunque, la chiesa a Caterina d’Alessandria, santa, comunque, ben accetta alla Chiesa dell’epoca, pur essendo la patrona dei filosofi e degli alchimisti. Abbiamo già detto che la dedicazione ad una santa non avrebbe, secondo noi, potuto essere “farina del sacco” di Arnau attese le sue tendenze evangeliche riformatrici e beghine. Tendiamo a credere, invece, che Arnau possa avere precedentemente intitolato la Chiesa al “Padre Nostro” o al “Santissimo Salvatore”. Ammettiamo, comunque, che in mancanza di prove documentali queste ultime sono solo speculazioni, anche se verosimili.
Rimane da dire che l’iscrizione è, comunque, difficilmente leggibile causa l’erosione degli elementi atmosferici. Necessiterebbe, pertanto, un urgente restauro al fine del recupero di qualche elemento di scrittura residua.
Dobbiamo ancora dare una risposta sul tema della mancanza di absidi. Nell’abside, insisteva il tabernacolo ove veniva conservato il corpo e il sangue di Cristo, per il sacramento dell’Eucaristia. Nelle chiese catare non si somministrava la comunione.
I catari confutavano i sacramenti del battesimo e della comunione (eucaristia) poiché, essendo l’acqua del battesimo e il pane dell’ostia fatti di materia impura, non potevano avere in sé lo Spirito Santo.
La mancanza delle absidi nelle due chiese di Spirito Santo e di Santa Caterina d’Alessandria era dovuta, pertanto, non alla scomunica di Federico. Le altre chiese costruite nel periodo dello scomunicato Federico erano, infatti, tutte regolarmente dotate di absidi.
Abbiamo detto che non vi erano croci nelle due chiesette al momento della loro realizzazione nel 1310. Il motivo è presto detto: per i Catari la croce era un “mostruoso strumento di tortura”5.
Si trattava, per come visto nei portali, di chiese prive di croci nonché prive di absidi. Spirito Santo e l’originaria Santa Caterina furono, dunque, chiese probabilmente costruite da catari e dedicate alle funzioni di culto evangelico di tipo cataro-beghino.
Abbiamo detto che Federico III accoglieva gli spirituali francescani toscani a Corte. Abbiamo anche esaminato i rapporti tra Arnau e i Beghini Catalani cui lui dedicò due trattati. L’architettura e lo stile singolarissimo dei portali, in particolare, stanno ad indicare un qualche rapporto culturale e stilistico con la Catalogna dei Bons Homes? Noi pensiamo di sì.
E’ probabile che le due chiese siano state, dunque, progettate da un architetto cataro o beghino, giunto dalla Catalogna, magari da Berga, e al servizio di Federico III 6.
Ricordiamo, inoltre, che sul sito di Argimusco, vicino Montalbano, tra i tanti simboli stellari, alchemici e templari, insiste anche il simbolo del Pellicano 7, simbolo cristico che prima era appartenuto ai catari 8 e, dopo, acquisito a tutta la cristianità (vedasi articolo di Paul Devins su Centonove del 23 marzo 2012 pagg. 36-37).
Papa Martino IV nella Bolla Solebas hactenus mater9, nel 1284, lamentava le protezioni di cui godevano i Catari in Sicilia10per opera dei regnanti aragonesi.
Il Savini ci dice, inoltre, che nel 1300 l’unico Diacono maggiore Cataro vivente (un Hereticus Maior) esercitava ancora nella sola Sicilianote]“Il Catarismo italiano e i suoi vescovi nei secoli XIII e XIV” di Savino Savini, Le Monnier 1958 pp. 175[/note].
Alcune testimonianze rese davanti agli inquisitori francesi fanno pensare ad una vera e propria emigrazione di boni homines fuggiaschi dalla Provenza alla Sicilia tramite il porto di Genova. L’ultima fuga è del 1307 11. Nel 1309 Guillem Falquet confessò a Tolosa di essere stato quattro volte a Como e anche in Sicilia per organizzare la chiesa catara12.
Non dimentichiamo poi che cosa diceva Ramon Muntaner sulla Corte Montalbanese di Federico, nel luglio 1309, piena di dignitari di corte catalani e aragonesi: “…y muchos caballeros catalanes y aragoneses, y muchas otras buenas gentes, de forma que había al menos un centenar de buenos hombres de gran linaje, y mucha otra gente…”.
La presenza catalana a Montalbano era dunque consistente. C’erano anche architetti catari o beghini?
Arnau dal 1309 divenne il mentore religioso di Federico III, e lo guidò nel suo cammino di riforma. Lo esortò ad amministrare il suo regno con uno spirito idoneo ai doveri del “perfetto” (perfectus, termine tipico dei catari di Provenza inteso quale raggiungimento della più elevata spiritualità catara) re cristiano. Nel 1310 compose la Informació espiritual per al rei Frederic. Alcune di queste raccomandazioni per la conversione degli ebrei della Sicilia e musulmani furono integrate nella nuova legislazione della Sicilia, Ordinationes Regni Sicilie13. Arnau indusse Federico a fare voto che non avrebbe mai ritirato la sua offerta di protezione a tutti coloro che osservavano la povertà evangelica14. Grazie ad Arnau Federico diede, dunque, accoglienza ai toscani Spirituali, accoglienza vietata, invece, dal Concilio di Vienne15.
Abbiamo visto che Arnau diffuse vari scritti in volgare per i Beghini, maschi e femmine Terziarie Francescane della Linguadoca e della Catalogna. La Confessiò de Barcelona (1305) e il Raonament d’Avinyó (c.1310) erano vere e proprie dichiarazioni di simpatia alla fede beghina da parte di Arnau. La sua Informatio beguinorum seu lectio e il Alia informatio beguinorum, scritti tra il 1305 e il 1311, erano scritti per comunità di beghini di Narbonne e di Barcellona. Ricordiamo che tali scritti furono veri e propri manuali di guida pastorale progettati espressamente per le comunità beghine. Poniamoci ora però delle domande.
E’ possibile pensare che Arnau non introducesse alla Corte di Federico il suo mondo spirituale beghino catalano giacchè Maestro spirituale della Famiglia regia? No.
E’ possibile che tutto questo sia scomparso e non abbia lasciato traccia? No.
Gli scritti di Arnau de Vilanova, infine, confermano le nostre ipotesi sulle due chiesette? Sì.
Nel 1305 Arnau aveva costituito uno Scriptorium a Barcellona che, probabilmente, lo seguiva scrivendo quanto lui andava dettando nei suoi viaggi. Che lo Scriptorium fosse costituito da beghini è provato dal fatto che lasciò a “varie persone di penitenza (beghini)” parte dei suoi scritti.
E’, dunque, verosimile che Arnau fosse seguito da beghini, suoi assistenti dello Scriptorium, alla corte di Federico. Abbiamo già visto sopra che è noto che durante gli anni siciliani Arnau fosse associato a vari gruppi di ‘fratelli poveri di Penitenza’, o Beghini. E abbiamo visto ora che, proprio nel 1310 a Montalbano, Arnau fece promettere a Federico di accogliere e proteggere i suoi amici beghini.
Riteniamo probabilissimo che, dunque, proprio accanto al re, alla corte di Montalbano vi fossero gli amici beghini di Arnau della cui protezione il Maestro si preoccupò proprio prima della sua morte, sopraggiunta nel 1311.
La prova del fatto che, oltre agli elementi stilistici (portali e mancanza di croci) e funzionali (mancanza di absidi), le due chiesette fossero state destinate al culto beghino l’acquisiamo indirettamente da Arnau quando nell’Informaciò Espiritual prescrive alla Regina Eleonora di “organizzare gruppi religiosi sullo stile beghino”. Arnau quando scrisse quelle parole nel 1310 era a Montalbano. Evidentemente, quei gruppi religiosi a Montalbano dovevano pur riunirsi con la Regina da qualche parte, ovvero nelle due chiesette in stile cataro-beghino16.
Insieme ad un tabernacolo di legno donato dalla Regina Eleonora d’Angiò ad Arnau, le due Chiese furono la controprestazione, “una moneta spirituale” secondo la forma mentis di Arnau, per un grande servigio reso da Arnau de Vilanova alla famiglia reale. Il servizio era stato, per come abbiamo visto su Centonove del 23 marzo 2012 pagg. 36-37, la progettazione e direzione lavori del grande “speculum astrorum” costituito da enormi statue di pietra sull’Argimusco. Tale grande opera, realizzata sul demanio su concessione regia, serviva quale strumento medico, per le applicazioni dei salassi in particolare, a mezzo della lettura delle fasi e dei passaggi della luna per le varie costellazioni fatta dal sestante di pietra arabo. Tanto per la protezione della salute della famiglia reale in vista dei cataclismi e delle tribolazioni, annunciati dallo stesso Arnaldo nel 1308 per il 1311.
Le due chiese montalbanesi sono l’unica testimonianza superstite, almeno dal punto di vista dello stile degli edifici di culto, della presenza cataro-beghina in Sicilia e a corte in particolare. Senza trascurare il fatto che le crociate e le persecuzioni contro i catari, oltre ad occuparsi del rogo dei corpi degli eretici e della confisca dei loro beni, si preoccupò in sommo modo di cancellare ogni traccia della loro esistenza, distruggendo le loro chiese tanto in Francia quanto in Italia.
In tutto il vastissimo patrimonio architettonico medievale italiano e siciliano i due portali romanico-catalani delle due chiese trecentesche di Montalbano costituiscono, dunque, una singolare eccezione.
La preziosa architettura catalana, legata alla presenza di catari 17 e beghini a Montalbano, potrebbe essere, peraltro, una nuova risorsa di attrazione turistico-culturale. Aggiunta all’unicum mondiale dell’Argimusco non è male per un piccolo Comune montano della Sicilia…
Arnau e i suoi discepoli beghini dello Scriptorium di Barcellona avevano, dunque, lasciato traccia del loro passaggio. Traccia unica e riconoscibile, oggi come allora.Paul Devins e Alessandro Musco – Marzo 2013

 (RECENSIONE SU CENTONOVE DEL 29.03.2013)

 

Note

  1. Salvo l’unico esempio di portale in stile romanico pugliese nella Cattedrale di Catania, portale poi rimontato nella Chiesa di S.Agata al Carcere.
  2. “…Nella provincia di Messina, la civiltà figurativa espressa dall’architettura del XIV secolo continua a svolgersi nel solco della tradizione e delle tecnologie già affermate, accogliendo i nuovi modelli strutturali e formali: l’influenza catalana si è intrecciata, sovrapposta o è subentrata a quella chiaramontana, assumendo caratteristiche innovative dettate dalla personalità e dalla cultura radicata negli artigiani locali, dando vita ad elementi assolutamente originali nei loro caratteri stilistici ed estetici.Oltre alla più tradizionale figurazione gotica ascensionale, con archi a sesto acuto a ghiera multipla, comunque molto diffusa a tutti i livelli, si è individuata la compresenza, rara o forse assente nel resto della Sicilia, di uno stile gotico di influenza campana, dall’aspetto massivo e caratterizzato dalla mancanza di tendenze ascensionali e contraddistinto da una decorazione di matrice floreale, dai caratteri eleganti e delicati, simili a pizzi e merletti. (Testimonianze di architettura catalano-aragonese in provincia di Messina di lindabarnobi su Sikania.it internet). L’autrice ignora che a Montalbano esistono portali trecenteschi a tutto sesto.
  3. Beatrice dice a Dante nella Commedia “Perchè la faccia mia sì t’innamora che tu non rivolgi al bel giardino che sotto i raggi di Cristo d’infiora? Quivi è la rosa, in che il verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino” (Paradiso, XXIII, vv.70-75). Nel Convivio Dante poi dice: “E conviensi aprire l’uomo quasi come una rosa che più chiusa stare non puote, e l’odore che dentro generato è spandere”. La rosa è per Dante l’Ecclesia spiritualis costituita dai “perfetti”, così come per i Catari. Sulle connessioni tra Dante, i Catari e il simbolo della rosa vedi il testo di Adriano Lanza “Dante e la Gnosi: esoterismo del Convivio”, Mediterranee 1990. Vedi ancora Pietro Negri Il linguaggio segreto dei Fedeli d’Amore, UR 1928, pag. 70 e ss.
  4. Apprendiamo dall’ottimo Alessandro Musco che l’iscrizione sarebbe stata trascritta da uno studioso locale e poi tradotta dallo stesso Musco.
  5. Nell’Interrogatio Iohannis, vangelo apocrifo utilizzato dai Catari, si tratta di una conversazione tra San Giovanni e Gesù Cristo durante l’ultima cena: “Da quando il Diavolo decadde dalla gloria del padre e volle la propria gloria, egli sedette sulle nubi e, mandò i suoi servitori, gli angeli, fuochi fiammeggianti, sulla terra in mezzo agli uomini da Adamo fino ad Enoc. E mandò il suo servitore e innalzò Enoc sopra il firmamento; gli rivelò la propria divinità e comandò che gli fossero dati penna ed inchiostro: egli sedette e scrisse sessantasette libri. Poi gli comandò di riportarli sulla terra e li trasmise ai propri figli cominciando ad insegnare loro il modo di celebrare i sacrifici ed i misteri iniqui. Quando Satana seppe che ero disceso giù dal cielo nel mondo, mandò un angelo: questi prese dei pezzi di legno da tre alberi e li diede a Mosè perché fossi crocifisso: essi sono stati conservati fino ad oggi per me. (…)”. La croce fu, pertanto, per i Catari uno strumento diabolico concepito da Satana.
  6. Siamo i primi a notare queste assonanze stilistiche e culturali tra Catalogna cataro/beghina e Montalbano.
  7. Vedi articolo di Paul Devins su Centonove del 23 marzo 2012 pagg. 36-37
  8. Jean Duvernoy, La Religios des Cathares, 1976, V. 13. Descente en ce monde et kénôse : parabole du pélican p. 82
  9. “Passim inibi, sicut per Inquisitores hereticae pravitatis accepimus, receptantur Haeretici, proteguntur, proctetique in eiusdem Fidei derogationem horrendam quotidie moltiplicantur” (”Bolla Solebat hactenus mater” Papa Martino IV)
  10. Jacopo Manna “L’iconografia nel medioevo Italiano. Un problema di iconografia”
  11. “Il Catarismo italiano e i suoi vescovi nei secoli XIII e XIV” di Savino Savini, Le Monnier 1958, pag. 172-174 e ancora vedi A History Of The Inquisition Of The Middle Ages di Henry C. Lea, Kessinger 2004 pag. 120 “…we hear constantly of refugees from Toulouse and Carcassone flying to Lombardy and even to Sicily…” e pag. 240 “…the pilgrims thither had no trouble in finding their fellow-believers (…) in the kingdom of Sicily…”
  12. A History Of The Inquisition Of The Middle Ages di Henry C. Lea, Kessinger 2004 pag.50
  13. Vedi Capitula Regni Sicilie, ed. Francesco Testa, i (Palermo, 1741), 65–88. In una lettera di Federico a suo fratello Giacomo, Federico scrive: “Noveritis, reverende frater, quod ex illo scripto informationis venerabilis et sapientis viri Arnaldi de Villanova, quod mittimus vobis, collegimus et edidimus nuper quasdam constitutiones nostras, que sunt per nos ubique per Siciliam promulgate et ad honorem Dei et laudem sui nominis observantur».
  14. E Federico mantenne la parola data: suo fratello re Giacomo d’Aragona prima e il papa Giovanni XXII dopo (lettera del 15 marzo 1317) esortarono il re Federico ad espellerli dalla Sicilia, ma questi ignorò la richiesta con disinteresse e il Papa rinnovò la scomunica contro i Fraticelli, denigrandoli come “…nonnulli profanae multitudinis viri, qui vulgariter Fraticelli seu Fratres de paupere vita aut bizochi seu beghini seu alio nomine nuncupantur, in partibus Italiae necnon in insula Siciliae… contra dictos canones habitum novae religionis assumere, congregationes et conventicula facere et superiores sibi eligere quos ministros seu custodes vel guardianos aut nominibus aliis appellant…” (in Bullarium Franciscanum, Roma 1759, V, p. 110).
  15. Secondo H.C. Lea Arnau diede un grande contributo a rendere la Sicilia un rifugio sicuro per fraticelli ed eretici grazie a come egli stesso presentò a Federico III gli inquisitori dell’epoca: “…essi sono peste diabolica, trafficano nei loro uffici convertendo se stessi in demoni, mai edificano i fedeli ma piuttosto li rendono infedeli quando si abbandonano all’odio, all’avidità e al vizio, e nessuno che li condanni o reprima la loro furia…”, vedi A History Of The Inquisition Of The Middle Ages di Henry C. Lea, Kessinger 2004 pag. 249
  16. Vedi F.Bruni La cultura e la prosa volgare nel 300 e nel 400 in Storia della Sicilia IV Palermo Napoli 1980, p. 195: .”..Villanova si rivolge anche ad Eleonora, raccomandole che è compito della regina di “organizzare intorno a sé la riflessione religiosa, secondo le forme associative delle comunità borghesi e cittadine dei Beghini che Arnaldo vuol suscitare anche alla corte siciliana…”
  17. Grazie alla recente pubblicistica storica e a fenomeni di massa come il Codice da Vinci di Dan Brown l’epopea catara è stata oggetto di riscoperta. Una valorizzazione turistico culturale potrebbe, dunque, catturare l’interesse mass-mediatico.

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